Ferrari, non si vince con i proclami e le porte girevoli

Piergiuseppe Donadoni
9 Gen, 2021

Mattia Binotto (Ferrari) lo disse molti mesi fa: fondamentalmente negli ultimi dieci anni uno dei problemi – se non il problema – della GeS è stato il continuo scaricabarile. E le defenestrazioni. 

Il continuo trovare il colpevole assoluto o quello più sacrificabile, neanche fossimo dentro un film giallo. A questo riguardo potremmo stilare una lista di nomi che farebbe rabbrividire per quanto abbiano fatto bene altrove, senza contare che dopo ogni epurazione fatalmente le cose non siano migliorate non solo a livello strutturale, ma sotto l’aspetto della cultura del lavoro stesso. Negli ultimi anni sembra si sia caduti nell’equivoco geometrico di come dovesse essere la gerarchia tecnica: orizzontale, verticale, magari diagonale. Questo tema, sempre messo accanto ad ogni rimescolamento dell’ufficio tecnico, ha finito per spostare l’attenzione dei media sulla ricerca di figure responsabili, in caso da incolpare. 

Un successo per la Ferrari in questa stagione disgraziata, la 2020, è stato non dare in pasto nessun nome. 

Nessuno sa o è sembrato in grado di spiegare chi fosse il vero colpevole della SF1000. E’ un risultato che può anche non interessare, invisibile dal dramma dei risultati, perché è vero che una stagione cosi non può essere ripetibile né ancora tollerabile. Ciononostante a me sembra una importante vittoria, in altre epoche si sarebbe fatto fuori mezzo dipartimento. 

E con quale risultato? Ricominciare da capo? Si, ma da quali uomini? Più probabilmente avremmo visto la perdita di ulteriore fiducia in quelli che fossero rimasti e poca credibilità nei confronti della concorrenza. 

Tutto ciò in un momento in cui le risorse restano grandi ma non infinite. 

Una vittoria che io penso possa contribuire silenziosamente a costruire una certa serenità nelle dinamiche di lavoro. Che per giunta, consenta di rischiare dove ce ne sarà bisogno verso il 2022. 

Rischiare, cosi come succede in Mercedes, senza avere l’incubo di pagare un tentativo fallito. Se guardiamo alle dinamiche ormai divenute naturali per chi opera a Brackley da Allison in giù, la parola ‘paura’ proprio non esiste, esistono fiducia, motivazione, ed è espressamente vietato puntare il dito contro qualcuno. Questa non è una cosa che ha a che fare col budget, ma che si va a costruire giorno per giorno. Toto Wolff è stato sicuramente colui che ha instillato tale cultura sin dai primi metri alla guida del team nel 2013.

Non è un mistero che i rapporti tra Binotto e Wolff non siano mai decollati, a detta del team principal Ferrari perché “io sono tra i pochi che non gli dice sempre sì”, ma il capo della GeS sa che l’aspirazione per tornare in alto stabilmente deve essere seguire la traccia di Toto, nonostante le ovvie differenze. 

Jean Todt, che la Ferrari l’ha riportata al successo non da solo, ha sempre detto che a Maranello ci sono potenzialità enormi ma che vanno gestite, motivate, indirizzate tramite figure di riferimento azzerando le correnti interne di cui, se vogliamo dirla tutta, fu vittima Stefano Domenicali per via alla deludente SF14T.   

Anche Sergio Marchionne peraltro cadde nella trappola dei proclami nel 2016, salvo poi vietare a tutti di parlare con la stampa nell’inverno seguente. E delle porte girevoli, Allison su tutti, il quale chissà se oggi lo ringrazia ancora.

Era fatto cosi e con lui alla guida fino alla sua scomparsa disastrosa per gli equilibri politici raggiunti, pareva anche avere molto senso.  

Dopodiché in Ferrari doveva per forza cambiare tutto. C’era un modo migliore? 

L’era del budget cap è iniziata, Ferrari cerca di mantenere tutte le risorse umane, anche spostandole nel customer technical (maggiori informazioni) office come abbiamo spiegato qui. Un processo difficile e non è iniziato oggi, altri team stanno facendo la stessa cosa in forme diverse. Mercedes con Aston Martin e Williams, Renault che retrocede elegantemente attraverso la nuova Alpine F1. 

Il 2020 è stato di una violenza inaudita, ed è probabile che gli effetti si vedranno nel medio termine specialmente per le grandi case costruttrici. In questo senso l’operato di Binotto ha messo da un lato in sicurezza la GeS e dall’altro pare aver ottimizzato alcune situazioni che potevano divenire critiche. 

E’ molto chiaro che questo strato di protezione garantito al team principal non è un assegno in bianco, quindi i risultati dovranno arrivare e tecnicamente la scadenza ribadita da Elkann pochi giorni fa in una visita a Maranello resta il 2022.

“Il nuovo motore gira al banco da mesi e siamo soddisfatti, pensiamo di tornare di nuovo in lotta. Il nostro obiettivo per il 2021 sarà il 3. posto, nel 2022 ci aspettiamo di essere competitivi”.

Intendiamoci, non è un obiettivo straordinario se inteso in senso assoluto, se parliamo di Ferrari. 

Però è senz’altro un obiettivo onesto e realistico. 

Nel frattempo siamo sempre in attesa di capire quale nome faranno gli azionisti, e ci vorranno forse settimane, riguardo il ruolo di amministratore delegato, una scelta dalla quale ci si aspetta di intuire le linea guida e gli equilibri dell’immediato futuro.  

Certamente chiunque sarà, speriamo ribadisca a tutti che non si vince coi proclami e le porte girevoli.

di Giuliano Duchessa

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